In Uzbekistan la libertà di religione è severamente limitata. Nonostante il 96% della popolazione sia di religione musulmana, il governo è laico e non sono permesse attività religiose che non siano gestite dallo Stato o che non siano sotto il controllo di istituzioni statali.
Tutti i cristiani sperimentano qualche forma di pressione a causa della loro fede, ad eccezione dei cristiani stranieri. Le chiese russe ortodosse sono quelle che hanno meno problemi, visto che si sono adattate alle restrizioni governative e tendono a mantenersi separate dalla popolazione uzbeca. Invece, le chiese provenienti da denominazioni non tradizionali vengono spesso controllate e coloro che le frequentano possono essere esposti a minacce, arresti o multe. I responsabili delle chiese possono essere multati, detenuti, posti agli arresti domiciliari e vedersi negato il visto per uscire dal Paese. Questo allo scopo di diffondere paura nelle loro congregazioni. I pastori e i responsabili laici delle chiese non registrate vengono insultati, picchiati e umiliati.
La cultura islamica è ostile a coloro che si convertono al cristianesimo e i convertiti vengono messi sotto pressione dalle proprie famiglie affinché tornino alla fede islamica. Essi possono quindi subire segregazione domestica, essere diseredati, abusati verbalmente e fisicamente ed espulsi dalla propria abitazione. Nelle regioni più conservatrici, una donna convertita può essere rapita dalla propria comunità ed obbligata a sposare un musulmano. Gli imam locali predicano contro di loro aggiungendo ulteriore pressione. Per questo motivo, molti convertiti decidono di tenere nascosta la propria fede.
Mentre le leggi dell’Uzbekistan garantiscono parità di diritti fra uomini e donne, la cultura tradizionale islamica vuole le donne assoggettate agli uomini. Ci si aspetta quindi la loro totale sottomissione ai propri genitori o mariti, e chi abusa delle donne di solito non viene punito, in parte anche a causa della mancanza di una legislazione che regoli la violenza domestica.
Le donne non sono libere di scegliere la propria religione e coloro che si convertono al cristianesimo trovano una feroce opposizione familiare. È socialmente accettabile tenere una donna segregata in casa e proibirle l’accesso ai social network in modo da fare pressione su di lei affinché ritorni all’islam. Nelle regioni più conservatrici, una donna che si converte corre il rischio di essere rapita dalla propria comunità ed essere costretta a sposare un musulmano. Se una donna è già sposata al momento della conversione, il marito musulmano solitamente divorzia e le nega qualsiasi possesso dei beni. Le donne cristiani possono anche essere prese di mira con l’accusa di causare danni psicologici ai loro mariti e agli altri membri della famiglia.
Gli uomini cristiani sperimentano discriminazioni in tutte le aree della loro vita. Ad alcuni viene negata la promozione sul posto di lavoro, mentre altri possono essere licenziati, a meno che non rinneghino la loro fede. Gli uomini d’affari cristiani vengono monitorati dallo Stato per verificare che non siano coinvolti in attività illegali e sperimentano una notevole pressione dalla locale comunità musulmana che solitamente ostacola i loro affari. Poiché la fonte di reddito per le famiglie è l’uomo, tale pressione ha un effetto devastante su tutta la famiglia. Per evitare questo, molti uomini d’affari cristiani scelgono di mantenere la loro fede segreta.
I responsabili delle chiese, per la maggior parte uomini, vengono presi di mira in modo particolare e possono essere multati, arrestati, posti agli arresti domiciliare e vedersi negato il visto di uscita dal paese. Si tratta di una tattica deliberata, progettata per diffondere paura ed ansia all’interno delle loro congregazioni. I responsabili delle chiese non registrate vengono insultati, picchiati e umiliati.
“Dopo la mia conversione al cristianesimo, mio fratello non voleva più vedermi… si è arrabbiato moltissimo e quando mi ha visto ha detto: vattene, cosa fai qui? Non voglio avere niente a che fare con te. E non abbiamo più avuto contatti per 20 anni” – Aziz è un cristiano convertito dall’islam che, dopo oltre 20 anni di ostracismo, ha riallacciato i rapporti con il fratello.
Non ci sono stati molti cambiamenti quest’anno per i cristiani in Uzbekistan. Ci si aspettava un miglioramento quando il presidente Mirziyoyev è salito al potere, ma questo non è avvenuto. C’è stata una leggera diminuzione a livello di violenza registrata contro i cristiani, bilanciata però da un aumento della pressione sulle chiese.
I cristiani ex musulmani sono più esposti alla persecuzione. Oltre a soffrire a causa dello Stato, essi subiscono anche forte pressione dalla famiglia, dagli amici e dalla comunità. Tale pressione è molto più sentita fuori dalle aree urbane, particolarmente nella valle di Fergana, nella parte orientale del paese.
Porte Aperte sostiene i cristiani perseguitati in Asia centrale portando loro Bibbie e letteratura cristiana, offrendo formazione biblica e professionale, progetti di sviluppo socioeconomico e ministeri per donne, giovani e bambini.
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