Gli omaniti che si convertono al cristianesimo devono affrontare pressioni da parte delle loro famiglie e della società, che li vogliono spingere ad abbandonare la propria fede. Potrebbero essere cacciati dalla propria casa e, in alcune circostanze, perdere il lavoro. Anche essere diseredati è una pratica comune. Se sposati, invece, potrebbero avere difficoltà a vedere i figli e perderne l’affidamento.
I lavoratori migranti che si convertono al cristianesimo sperimentano gli stessi livelli di pressione che avrebbero nei loro paesi d’origine, in quanto spesso vivono all’interno delle proprie comunità etniche o con connazionali. Questo per alcuni significa relativa libertà, mentre per altri un’intensa persecuzione.
Le comunità di cristiani stranieri sono generalmente tollerate, ma vengono comunque sorvegliate e subiscono restrizioni. Tutte le organizzazioni cristiane devono registrarsi presso le autorità e gli incontri sono monitorati per individuare discorsi politici e l’eventuale presenza di omaniti.
Nonostante venga dichiarata l’uguaglianza legale di tutti i cittadini, le leggi della Penisola Araba perpetuano la disuguaglianza di genere. Per legge, ad esempio, le donne devono obbedire ai loro mariti. Questo ha creato una società ultraconservatrice in cui gli uomini esercitano il proprio controllo sulle donne. Si presume che le donne non abbiano opinioni religiose proprie e questo intralcia la loro conversione dall’islam al cristianesimo. Le convertite vengono trattate come emarginate e deliberatamente isolate dagli altri cristiani. Possono essere negati loro i mezzi per comunicare all’esterno e possono essere tenute segregate nella casa familiare. Le convertite non sposate potrebbero ricevere pressioni affinché sposino un musulmano, con l’obiettivo di indurle a tornare ad abbracciare la religione islamica. Le convertite al cristianesimo non possono sposare un cristiano, in quanto alle donne registrate come musulmane viene legalmente impedito di sposare un non musulmano.
Quasi l’intera totalità dei lavoratori domestici migranti cristiani è costituita da donne, e molte sperimentano abusi sessuali o vengono trattate pressoché come schiave dai loro datori di lavoro. Questo trattamento, tuttavia, non è strettamente connesso alla fede.
I convertiti al cristianesimo vengono spesso ostracizzati a livello sociale da parte delle loro famiglie e comunità. Potrebbero perdere il sostegno finanziario delle proprie famiglie e incontrare difficoltà nel trovare lavoro. La società della Penisola Araba si basa su reti sociali e serra le proprie fila contro i convertiti, limitandone l’accesso al mondo del lavoro o dello studio.
Se il convertito ha una famiglia e un lavoro, rischia di perderli al momento della conversione. Quando un uomo abbandona l’islam, per legge perde automaticamente la custodia dei propri figli, in quanto ai padri che lasciano l’islam è proibito mantenere i diritti di paternità sui propri figli. Egli viene considerato inaffidabile e incapace di assolvere ai propri compiti di tutore legale. La moglie potrebbe chiedere il divorzio a motivo della nuova fede del marito.
I cristiani stranieri potrebbero subire pressioni sul luogo di lavoro e corrono il rischio di perdere il visto lavorativo se le attività legate alla propria fede sono troppo manifeste.
Le pressioni sono rimaste estremamente alte per i cristiani, specialmente per chi si converte dall’islam al cristianesimo. I cristiani continuano a essere attentamente monitorati dal governo. L’Oman è sceso di undici posizioni nella World Watch List: sebbene si sia verificata una leggera diminuzione del numero di incidenti violenti segnalati contro i cristiani, la nuova posizione nella lista è da attribuire prevalentemente all’aumento della persecuzione in altri Paesi.
Le pressioni sui cristiani tendono ad essere maggiori nelle aree rurali, dove sussiste una cultura tribale. Nelle aree urbane i convertiti riescono invece a vivere una vita più anonima.
I convertiti dall’islam al cristianesimo sperimentano un maggior livello di controllo da parte delle proprie famiglie e della società, che si manifesta prevalentemente con pressioni per rinunciare alla propria fede o con l’isolamento.
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